LIBERI DALLA FORMA

IL PRIMO BLOG NET-FUTURISTA

giovedì, ottobre 20, 2005

I quattro modi della politica

Si fa un gran parlare di politica. Il più delle volte si finisce con uno squallido teatrino, in cui luoghi comuni si rincorrono senza fine. Da una parte e dall'altra.
Vorrei qui proporre una classificazione generale che ho ideato sulla base dei differenti approcci che un politico può avere nell'esercizio delle sue funzioni.
La politica si può fare in 4 diverse maniere, che si possono così elencare in ordine decrescente di valore:
1. a favore di qualcosa (Chi crede in un ideale/progetto e vuole realizzarlo)
2. contro qualcosa (Chi crede nocivo un ideale/progetto e vuole eliminarlo)
3. a favore di qualcuno (Chi vuole favorire alcune persone)
4. contro qualcuno (Chi vuole distruggere alcune persone)

Questa classificazione è il risultato dell'azione di 2 parametri combinati:
a) è sempre meglio proporre qualcosa piuttosto che distruggerne un'altra (quindi è preferibile essere "a favore" piuttosto che "contro")
b) la vera politica ha per oggetto le cose da fare e non le persone che la fanno (è preferibile quindi il "qualcosa" al "qualcuno").

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Tutto questo a livello teorico. Ma in pratica quali politici rientrano nei quattro gruppi succitati?
Questo blog non si è mai addentrato in questioni specificamente politiche. Tuttavia sulla base di questa teorizzazione crede sia giusto arrischiare un giudizio.
GRUPPO N. 4
Il gruppo peggiore è ovviamente il n. 4 e vi rientrano da sempre tutte le ideologie centrate sull'odio: storicamente abbbiamo i comunisti-classisti (che diffondono l'odio per la classe ritenuta padrona), e i nazisti-razzisti (che diffondono l'odio per le razze ritenute inferiori).
Attualmente in Italia abbiamo in questo gruppo larga parte dei partiti eredi dell'ideologia marxista (Cossutta, Diliberto, Angius in primis, ma anche Pecoraro Scanio, D'Alema, Fassino, Veltroni e tutti coloro che si sono adoperati per fomentare l'odio anti-berlusconiano).
A questo gruppo si aggiungono altri personaggi inquietanti legati alla Lega Nord (Borghezio per citare il più noto), che giocano pericolosamente sull'ostilità popolare nei confronti delle minoranze etniche e religiose presenti nel nostro paese.
GRUPPO N. 3
A questo gruppo appartengono purtroppo larga parte dei nostri politici. Purtroppo il nostro sistema è clientelare. I politici sanno che per essere eletti bisogna appoggiarsi a particolari gruppi di interesse e così la sinistra cerca consensi tra gli operai e gli insegnanti, la destra tra gli imprenditori e i liberi professionisti. Tutto questo è assai squallido e deleterio perchè contribuisce a spaccare la società.
Lo stesso Berlusconi appartiene a questo gruppo. Quando è sceso in campo nel 1994 è stato evidentemente per difendere il suo gruppo (e chi aveva interessi simili) dalla valanga comunista che stava per abbattersi sul nostro paese dopo la scomparsa del PSI e della DC.
GRUPPO N. 2
Il presidente Berlusconi appartiene anche a questo gruppo. Chi non ricorda infatti il suo motto "Noi siamo anti-comunisti". Essere contro un ideale che si ritiene negativo per la società è cosa lodevole, ma bisogna pur sempre proporre poi qualcosa di più. In questo il cavaliere non è finora riuscito pienamente e quindi non appartiene al
GRUPPO N. 1
Questa è la vera categoria della politica: pensare a quanto di meglio c'è per la società e cercare di conseguirlo.
A questo gruppo purtroppo non mi sento di legare con certezza qualche nome della politica nostrana. Forse in qualche caso possono appartenere a questo gruppo i radicali, che in nome delle loro idee hanno combattutto battaglie civili senza mai badare a calcoli elettorali.
A questo gruppo potrebbe appartenere anche una persona come Bertinotti, che crede fermamente nel suo ideale, ma che però è anche pienamente inserito nel gruppo n. 3, perchè la sua è una visione politica chiaramente a favore di una sola parte sociale.
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In conclusione qual è per me il politico ideale? E' un uomo che non deve avere nulla a che vedere col gruppo 4, dei gruppi intermedi può avere qualcosa (n. 2 e n. 3), ma deve appartenere innanzitutto e soprattutto al gruppo 1.
Ad maiora
Antonio Saccoccio

lunedì, ottobre 17, 2005

L’ha scritto… Tirteo. L’ho riscritto... io!

"E’ bello morire, cadendo tra i combattenti in prima fila, per l’uomo prode che combatte per la sua patria"
Tirteo, elegia I
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Riscriverei questi versi, riadattando il finale:
"E’ bello morire, cadendo tra i combattenti in prima fila, per l’uomo prode che combatte per quello in cui crede"
Per Tirteo, infatti, il vero valore era quello del guerriero che combatteva per la patria (Sparta nel suo caso). E la sua rimane poesia essenzialmente patriottica. Per me quei versi hanno un valore enorme e universale. E non perché si esalta il valore della patria, ma perché sono un inno alla forza e alla grandezza d’animo di chi ha il coraggio di subire fino in fondo le conseguenze della difesa dei propri ideali, qualunque essi siano. È sempre bello morire tra i combattenti in prima fila. È sempre vergognoso fuggire di fronte al pericolo.
Chi muore combattendo vivrà per sempre nel ricordo e nella memoria dei posteri.
Chi vive fuggendo sarà per gli altri come un morto anche da vivo.
A. Saccoccio

mercoledì, ottobre 12, 2005

L'ha detto... Luigi Pirandello

Ebbene, fu nella scala della mia casa; fu sul pianerottolo innanzi alla mia porta. Io vidi a un tratto, innanzi a quella porta scura, color di bronzo, con la targa ovale, d'ottone, su cui è inciso il mio nome, preceduto dai miei titoli e seguito da' miei attributi scientifici e professionali, vidi a un tratto, come da fuori, me stesso e la mia vita, ma per non riconoscermi e per non riconoscerla come mia.
Spaventosamente d'un tratto mi s'impose la certezza, che l'uomo che stava davanti a quella porta, con la busta di cuojo sotto il braccio, l'uomo che abitava là in quella casa, non ero io, non ero stato mai io. Conobbi d'un tratto d'essere stato sempre come assente da quella casa, dalla vita di quell'uomo, non solo, ma veramente e propriamente da ogni vita. Io non avevo mai vissuto; non ero mai stato nella vita; in una vita, intendo, che potessi riconoscer mia, da me voluta e sentita come mia. Anche il mio stesso corpo, la mia figura, quale adesso improvvisamente m'appariva, così vestita, così messa su, mi parve estranea a me; come se altri me l'avesse imposta e combinata, quella figura, per farmi muovere in una vita non mia, per farmi compiere in quella vita, da cui ero stato sempre assente, atti di presenza, nei quali ora, improvvisamente, il mio spirito s'accorgeva di non essersi mai trovato, mai, mai! Chi lo aveva fatto così, quell'uomo che figurava me? chi lo aveva voluto così? chi così lo vestiva e lo calzava? chi lo faceva muovere e parlare così? chi gli aveva imposto tutti quei doveri uno piú gravoso e odioso dell'altro? Commendatore, professore, avvocato, quell'uomo che tutti cercavano, che tutti rispettavano e ammiravano, di cui tutti volevan l'opera, il consiglio, l'assistenza, che tutti si disputavano senza mai dargli un momento di requie, un momento di respiro - ero io? io? propriamente? ma quando mai? E che m'importava di tutte le brighe in cui quell'uomo stava affogato dalla mattina alla sera; di tutto il rispetto, di tutta la considerazione di cui godeva, commendatore, professore, avvocato, e della ricchezza e degli onori che gli erano venuti dall'assiduo scrupoloso adempimento di tutti quei doveri, dell'esercizio della sua professione?
Luigi Pirandello, La carriola

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In ricordo e in onore del grande Pirandello e delle sue straordinarie intuizioni non ho posto, come si suol fare, il mio nome sulla targa della mia porta di casa. Quella targa è rimasta vuota e penso che rimarrà vuota. Nel momento in cui comparirà il mio nome e il mio cognome, (magari persino preceduti da un inquietante Dott.) allora forse sarò stato completamente assorbito in quella "forma" da cui tento invano di liberarmi ogni giorno. Sabato scorso, mentre aprivo la porta di casa, spiegavo ad una carissima amica ch’era con me questo bizzarro particolare della targa senza nome. Oggi mi sento di rendere ancora un omaggio al grande Luigi Pirandello, che con le sue opere ha messo in guardia il mondo intero dai pericoli della "forma". Pirandello ha avuto un unico demerito: non aver intuito una vera via d’uscita. Se qualcuno ha trovato questa via d’uscita, è invitato a inserire un commento a questo post. A me intanto, nell’attesa di trovare una soluzione (esiste?), non resta che… non porre l’etichetta sulla targa!
Antonio Saccoccio

martedì, ottobre 04, 2005

L'ha detto... Platone

Ciascuno di noi è il tagliando d’un uomo: come le sogliole, dimezzato, due da uno. Perciò ciascuno, ostinatamente, cerca l’altro tagliando di se stesso.
[…]
“Ecco, proprio questa è la mia febbre, da sempre, confondermi, liquefarmi col mio amore, farmi uno da quei due che siamo”. E la causa lontana è questa: la nostra forma umana originale era come ho detto, e noi eravamo un tutt’uno. Alla voglia bruciante di quel tutto, a quell’inseguimento si dà il nome Eros. Lo ripeto, eravamo uno prima d’oggi: ma fummo squilibrati, e per questo ci ha spartiti il dio, come Arcadi sotto gli Spartani. Stiamo bene attenti: se non ci diamo ancora una buona regolata con gli dèi, potremmo essere spaccati in due un’altra volta, così dobbiamo circolare come i profili dei bassorilievi, affettati dal naso in giù, ridotti a matrici dei tagliandi. Buon motivo, perché la gente faccia raccomandazioni in giro d’avere religione per gli dèi, per evitare quella cosa, da una parte, ma anche per avere le fortune, verso cui può pilotarci Eros, nostro comandante. Nessuno lo contrasti – e lo contraria l’uomo che si rende odioso alle divinità – anzi, se ci facciamo suoi pupulli e c’ingraziamo Eros, potremo ritrovare, riabbracciare ciascuno i nostri belli: fortuna oggi veramente rara. E non mi rubi la parola Erissimaco – tanto per ridicolizzare il mio intervento – che io parlo per Pausania e per Agatone (può darsi che anche loro in questa categoria si ritrovino, che siano puri maschi per la fibra), per me parlo, invece, in relazione a tutti, maschi e femmine del mondo, voglio dire questa è la strada della beatitudine, per l’umanità, se portassimo eros al suo fiore, se ciascuno incontrasse per strada il proprio bello, reduce, così, alla sua forma originaria. Ma questa è la perfezione. Certo oggi le cose vanno così: e la perfezione, in realtà, è un limite che s’avvicina a quell’altra perfezione. Cioè la fortuna d’incontrare un bello che aderisca, intimamente, all’ideale. Vogliamo santificare un dio, causa di questo? Santifichiamo Eros. È lui che oggi può favorirci più di tutti, riconducendoci al nostro io autentico; poi ci dà speranze fantastiche per il domani (col nostro contributo di rispetto per gli dèi), di farci beati, benedetti dal cielo col riportarci all’impasto originario. È la sua cura.”
Platone, Simposio XVI

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Prendiamo l’affermazione principale di questo brano.
"Santifichiamo Eros. È lui che oggi può favorirci più di tutti, riconducendoci al nostro io autentico."
Sicuramente il passo è suggestivo e contiene grandi verità. L’Eros è certamente un modo per ricondurci al nostro io autentico; se così non fosse non ne avvertiremmo ogni giorno la straordinaria potenza. Mi chiedo soltanto se l’Eros sia l’unico modo per ricondurci al nostro io autentico. In altre parole, se non si ha la fortuna di incontrare “un bello che aderisca intimamente all’ideale”, possiamo in altro modo avvicinarci alla nostra essenza originaria? Forme di espressione e comunicazione forse meno naturali e più speculative possono aiutarci in questa ricerca? L’arte, la filosofia, la religione non possono avvicinarci in qualche modo al nostro io autentico? O soltanto Eros ha questa capacità? Questo è il mio dubbio.
Antonio Saccoccio