LIBERI DALLA FORMA

IL PRIMO BLOG NET-FUTURISTA

martedì, giugno 27, 2006

Nazismo e comunismo: ideologie dell’odio

Una delle vergogne di larga parte della storiografia del Novecento è stata l’occultamento dei crimini del comunismo. Ancora oggi i giovani crescono con l’idea che il nazismo sia l’unico responsabile dei crimini del XX secolo. La storia è lì a dirci che non è così. La vera storia, non quella ad uso e consumo di alcuni partiti politici. Siamo ancora in attesa che i testi di storia presentino la verità ai nostri ragazzi: i crimini del comunismo sono ben maggiori di quelli del nazismo. Sia il nazismo che il comunismo si caratterizzano come ideologie dell’odio. Odio razziale e odio di classe. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: milioni di morti.
Volute omissioni per decenni non hanno permesso di conoscere la verità storica. Oggi però tutti sappiamo. Chi vuole ancora nascondere i crimini del comunismo deve fare i conti con una ricca documentazione storiografica. A tal proposito voglio riportarvi un passo intelligente tratto dal Libro nero del comunismo.

Il confronto tra nazismo e comunismo per quanto riguarda i rispettivi stermini può risultare sconvolgente. Eppure, Vasilij Grossman - figlio di una donna uccisa dai nazisti nel ghetto di Berdicev, autore del primo testo su Treblinka e coordinatore, insieme con gli altri, del Libro nero sullo sterminio degli ebrei in Unione Sovietica - nel racconto Tutto scorre fa dire a uno dei suoi personaggi a proposito della fame in Ucraina: "... lo scrivevano gli scrittori, e Stalin in persona: tutti a darci sotto su un punto solo: i kulak, i parassiti, bruciano il grano, ammazzano i bambini. E annunciarono apertamente che bisognava sollevare il furore delle masse contro di loro, annientarli tutti come classe, i maledetti". E aggiunge: "Per ammazzarli bisognava annunciare: i kulak non sono esseri umani. Proprio come dicevano i tedeschi: gli ebrei non sono esseri umani. Così anche Lenin e Stalin: i kulak non sono esseri umani”. E Grossman conclude, a proposito dei figli dei kulak: “Sì, proprio come i tedeschi, che soffocavano i bambini degli ebrei con il gas, perché loro non avevano il diritto di vivere, loro erano ebrei”.
Ogni volta si colpiscono non tanto gli individui, quando dei gruppi. Il terrore ha lo scopo di sterminare un gruppo individuato come nemico che, se è vero che costituisce soltanto una porzione della società, viene comunque colpito in quanto tale da una logica genocida. I meccanismi di segregazione e di esclusione del totalitarismo di classe presentano, quindi, una straordinaria somiglianza con quelli del totalitarismo di razza. La futura società nazista doveva essere costruita attorno alla razza pura, la futura società comunista attorno a un popolo proletario depurato da qualsiasi scoria borghese. La ricostruzione di queste due società venne progettata allo stesso modo, anche se i criteri di esclusione non furono gli stessi. È, quindi, un errore sostenere che il comunismo sia una dottrina universalistica: è vero che il progetto ha una vocazione mondiale, ma una parte dell’umanità è dichiarata indegna di esistere, esattamente come nel nazismo. L’unica differenza consiste nel fatto che la società comunista, invece di essere divisa su base razziale e territoriale come quella nazista, è stratificata in classi sociali.
da Il libro nero del comunismo

Come si vede, nazismo e comunismo sono due facce della stessa medaglia: l’odio per un determinato gruppo. Totalitarismo di classe e totalitarismo di razza.
È inutile dire che queste idee sono bollate da molti con l’accusa di revisionismo. Ben vengano queste accuse. Significa che siamo sulla giusta via.

Antonio S.

mercoledì, giugno 21, 2006

La cannabis non è una droga leggera

Continua la mia operazione-verità nei confronti delle cosiddette droghe leggere. Se nel post precedente ho appena accennato ai legami tra droghe leggere e depressione, oggi voglio trattare un argomento ben più specifico: la cannabis. Vi citerò semplicemente alcuni articoli che potete trovare comodamente sul web. Si tratta di studi scientifici che tutti dovrebbero conoscere e che invece i nostri politici (almeno alcuni) e i mass media colpevolmente ci nascondono.
Il testo che vi propongo è la relazione che il prof. Silvio Garattini, membro del Consiglio superiore di Sanità, ha presentato nel 2003 al ministro della Salute Girolamo Sirchia. La potete trovare sul sito del Ministero della Salute oppure su un sito molto conosciuto che si occupa di droga: Fuoriluogo.it. Leggete con attenzione. E legga anche chi già conosce il contenuto della relazione. La disinformazione che regna sull'argomento cannabis è vergognosa. I nostri ragazzi fumano "spinelli" pensando ad un gioco. E invece non si rendono conto che la cannabis è una droga che distrugge il nostro organismo.

LA CANNABIS NON E' UNA DROGA LEGGERA

La stampa e i mass-media sono stati molto solleciti nel propagandare ingiustificati appelli per l’utilizzo della cannabis, detto ‘spinello’, nel trattamento del dolore dei pazienti terminali mentre ha steso un inaccettabile silenzio su alcuni recenti lavori scientifici che hanno messo in relazione l’uso della cannabis con alcune malattie mentali. L’uso protratto della cannabis sembra capace di indurre attacchi psicotici in soggetti già predisposti e di esacerbare i sintomi di pazienti già diagnosticati come psicotici. Lo studio più citato in questo senso è stato realizzato su 50.000 reclute svedesi che sono state seguite per 15 anni e aveva stabilito che l’assunzione di cannabis nell’età dell’adolescenza aumentava in modo proporzionale alla dose il rischio di sviluppare schizofrenia. Nonostante le dimensioni dello studio permanevano tuttavia alcuni dubbi circa la possibile influenza di altri farmaci assunti nello stesso periodo di tempo e soprattutto la difficoltà di stabilire un rapporto di causa ed effetto essendo possibile che l’assunzione di cannabis fosse la conseguenza e non la causa della presenza di disturbi mentali. Per queste ragioni lo studio è stato ripreso con un periodo di osservazione più lungo. In breve i risultati sono stati confermati ed ampliati, dimostrando che solo la cannabis e non altri farmaci è responsabile della comparsa della psicosi e dell’aggravarsi dei sintomi; inoltre si è potuto stabilire che l’uso della cannabis è un fattore di rischio. Queste ricerche vanno viste alla luce di altri dati condotti su gruppi di minore numerosità, ma pur sempre significativi. Un gruppo di 4045 olandesi ha confermato i dati svedesi. Analogamente un gruppo di 1037 adolescenti in Nuova Zelanda è stato diviso in tre sottogruppi: un gruppo di controllo che non aveva mai usato cannabis, un gruppo che aveva assunto cannabis almeno tre volte a partire dall’età di 18 anni ed un gruppo che aveva iniziato all’età di 15 anni ed aveva poi proseguito. All’età di 26 anni sono stati eseguiti gli esami psichiatrici con risultati molto preoccupanti perché gli utilizzatori di cannabis mostravano più sintomi schizofrenici dei soggetti di controllo e l’effetto era più evidente negli adolescenti che avevano iniziato all’età di 15 anni. Studi pubblicati nel mese di novembre 2002 hanno affrontato anche il problema di eventuali rapporti fra consumo di cannabis e disturbi mentali non psicotici, ma riguardanti depressione ed ansia. In Australia, nello stato di Victoria, è stato seguito a partire dal 1992 un gruppo di 44 classi valutando a caso oltre 2000 adolescenti dell’età di 14-15 anni appartenenti ad una popolazione di oltre 60.000 studenti. I risultati ottenuti sono molto preoccupanti perché confermano una associazione fra l’uso della cannabis nell’adolescenza e la successiva comparsa di depressione ed ansietà. In particolare l’uso quotidiano dello spinello comporta un aumento, rispetto al non uso, di 5,6 volte dei sintomi di depressione ed ansietà entro un periodo di 7 anni. L’uso settimanale comporta invece un aumento del rischio di circa due volte. Mentre l’uso della cannabis è predittivo di successiva depressione ed ansietà, la presenza di depressione non è predittiva per l’impiego di cannabis. In altre parole non si cerca la cannabis perché si è depressi o ansiosi, ma si diventa depressi o ansiosi perché si usa la cannabis. [Qui in effetti bisognerebbe condurre altri studi, perchè a me risulta che molti adolescenti cercano la cannabis perchè sono depressi, ricavandone solo un peggioramento della depressione stessa. Un terribile circolo vizioso.]
Questi dati devono indurre ad una serie di riflessioni. Anzitutto si deve sfatare la convinzione largamente diffusa che lo spinello sia una ‘droga leggera’ ed in quanto tale rappresenti un’abitudine priva di conseguenze per la salute. E’ invece importante diffondere l’informazione riguardante i rapporti diretti fra uso della cannabis e lo sviluppo di problemi per la salute mentale: psicosi, depressione ed ansietà possono essere la tragica conseguenza della leggerezza con cui viene affrontata la pratica di usare droghe per scopi ricreativi. Il numero degli adolescenti che fuma lo spinello è in grande aumento. Nel gruppo di adolescenti più sopra citato il 60% impiegava cannabis almeno una volta alla settimana e ben il 7% almeno una volta ogni giorno. Un recente lavoro pubblicato sulla rivista dei medici americani (JAMA) ha destato ulteriori motivi di preoccupazione. Si è stabilito infatti che l’impiego di cannabis è un fattore di rischio per una successiva assunzionedi cocaina o di oppioidi. Si realizza quindi il pericolo che la cannabis faccia da veicolo per altri tipi di tossicodipendenza. Occorre perciò mettere in atto non solo adeguate strategie informative per i giovani, ma anche modelli di vita che permettano di evitare l’impiego di qualsiasi droga. Occorre sfatare l’impressione diffusa che l’assunzione di cannabis rappresenti un’abitudine di vita accettabile perché non avrebbe influenza sullo stato di salute. Poiché malattie mentali sono difficili da curare è urgente rafforzare gli interventi di prevenzione per rimuoverne le cause note. Occorre utilizzare l’esperienza acquisita nella lotta al fumo da tabacco per istituire iniziative capaci di evitare che gli adolescenti siano preda della catena criminale che ha interessi all’espansione dell’uso della cannabis.

domenica, giugno 18, 2006

Depressione giovanile: è ora di agire

La depressione giovanile è in costante aumento. In pochi si rendono conto di quanto questo sia pericoloso: i giovani di oggi saranno gli adulti del futuro. Ecco le recentissime parole di prof. Alberto Giannino, Presidente dell'Adc (Associazione docenti cattolici):
"In Italia, ci sono 800 mila giovani depressi (ma il numero è in difetto) che soffrono del "male di vivere", come peraltro confermano i tentativi di suicidio e intenzioni suicidarie, i disturbi della personalità o di tipo ansioso, maniaco-depressivo che riscontriamo quotidianamente nei diversi ambienti della nostra società. Il fenomeno, purtroppo, è in aumento, e tale sofferenza mentale non viene sempre colta (spesso inizia in èta infantile ) e, anzi, viene nascosta e non curata per vergogna. I nostri giovani sono diversi rispetto alle generazioni precedenti: essi, avvicinandosi all'età adulta, affrontano diverse nuove sfide e pressioni sociali in una società post-moderna e post-industriale in cui prevalgono i valori dell'avere, e non già quelli dell'essere.
E alcuni giovani vivono con difficoltà questa fase di transizione. Lo stress da competizione, i ritmi di crescita accellerati, la solitudine, gli ambienti relazionali più complessi, le minori occasioni di gioco e lo sfogo dell'aggressività sono tutti sintomi che intaccano la loro vita quotidiana con possibili ripercussioni sulla salute mentale compromettendo la capacità di inserirsi nella società e sul lavoro, di mantenere relazioni stabili, e di provvedere a se stessi e ai propri famigliari.

Senza contare i problemi familiari che compromettono l'autostima o facciano sentire non amati i giovani, spesso giocano un ruolo nella depressione. [...]

Il male oscuro - come lo definì lo scrittore veneto Giuseppe Berto nel suo libro omonimo (uscito nel 1964 ) - nell'adolescenza può spesso manifestarsi con sintomi non tipici o mascherati. Ad esempio, l'abuso d'alcool e droghe leggere spesso va di pari passo con la depressione giovanile e ne peggiora l'esito. Si possono presentare problemi di concentrazione, così come irrequietezza ed iperattività. Mentre, le sostanze di più pesante azione, dalla cocaina all'eroina fino alle nuove droghe, arrivano a squilibrare l'assetto psicologico dell'individuo oltre che a poter slatentizzare disturbi psichici molto gravi."

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I nostri ragazzi - aggiungo io - sono sempre più depressi. Chiunque voglia nascondere questa verità è a mio avviso un incosciente. Come è incosciente e ignorante chiunque non colga gli evidenti legami che la depressione ha con i seguenti aspetti della nostra società:
- materialismo

- civiltà dell'immagine

- educazione lassista e permissiva

- scarsa maturità affettiva

- uso di droghe leggere e alcool

Siamo ancora in attesa che i nostri politici affrontino questi problemi.

Antonio S.

mercoledì, giugno 14, 2006

L'ha detto... C. S. Lewis

Di fronte a Dio, siamo di fronte a qualcosa che è, sotto ogni riguardo, incommensurabilmente superiore a noi. Chi non riconosce Dio come tale - e quindi non riconosce sé stesso come un niente al Suo confronto - non conosce affatto Dio. Finché sei superbo non puoi conoscere Dio. Un uomo superbo guarda tutto e tutti dall'alto in basso, e se guardi in basso non puoi vedere qualcosa che sta sopra di te. Sorge qui un grave quesito. Come mai persone palesemente divorate dalla superbia e dall'orgoglio possono dire di credere in Dio, e considerarsi religiosissime? Il fatto è, temo, che costoro adorano un Dio immaginario. Ammettono teoricamente di essere niente al cospetto di questo Dio fantomatico, ma in realtà sono convinte che Egli le approvi e le ritenga molto migliori della gente comune: pagano a Dio, cioè, un soldo di umiltà immaginaria, e ne ricavano mille di superbia verso i loro simili. A questa gente pensava Cristo, suppongo, annunciando che alcuni avrebbero predicato e scacciato i demoni in Suo nome, ma alla fine del mondo si sarebbero sentiti dire che Egli non li aveva mai conosciuti. E ognuno di noi può cadere in ogni momento in questa trappola mortale. Fortunatamente c'è una cosa che può metterci sull'avviso. Quando ci accorgiamo che la nostra vita religiosa ci dà la sensazione di essere buoni - di essere, soprattutto, migliori di qualcun altro - possiamo essere sicuri, penso, che in noi non agisce Dio, ma il diavolo. […] Non di rado accade di vincere la propria pusillanimità, lussuria o iracondia dicendo a sé stessi che queste sono cose indegne di noi - ossia, per superbia. Il diavolo se la ride. È contentissimo che tu diventi casto, coraggioso e capace di dominarti, purché egli possa istituire dentro di te la dittatura della superbia; cosí come sarebbe felicissimo che tu guarissi dai geloni, se in cambio gli fosse consentito di farti venire il cancro. La superbia, infatti, è un cancro spirituale: divora ogni possibilità di amore, di contentezza, di semplice buonsenso.
CLIVE STAPLES LEWIS (1898-1963), Il cristianesimo cosí com'è

sabato, giugno 10, 2006

L'università italiana: organismo conservatore e mummificato

Le conseguenze dell'egemonia della sinistra: assenza di idee originali, conformismo, immobilismo e iper-specialismo
Ieri il Secolo d'Italia ha pubblicato un articolo (segnalatomi dall'amico Tommaso) illuminante sulla condizione delle università italiane. Suggestivo il titolo: "Per le Università è profondo rosso". Si parla, come potete immaginare, dell'egemonia culturale di sinistra.
Voglio parlarvi di questo articolo perchè in passato mi sono occupato di questo tema. Ho sempre creduto che uno dei principali ostacoli alla diffusione di idee nuove sia l'occupazione delle università da parte della sinistra post-marxista. In questo blog si sta cercando di portare una ventata di cambiamento, di liberare l'uomo oppresso da troppi vincoli e da un sistema di vita soffocante. E l'università è uno dei luoghi meno liberi e più soffocanti del nostro paese.
Passo ora in rassegna le idee più interessanti dell'articolo succitato.
Per Enrico Nistri, autore dell'articolo, l'egemonia culturale di sinistra è evidentissima nelle facoltà umanistiche, assai meno in quelle scientifiche. E questo si spiega facilmente. Mentre i contributi scientifici sono valutabili con criteri assolutamente oggettivi, quelli umanistici si prestano a valutazioni molto opinabili. Non è difficile, infatti, far passare un collage di citazioni erudite per un ricco saggio critico. Tutto questo ha creato una situazione di stallo a livello di pensiero. "E' fatale - continua Nistri - che, in una realtà di questo genere, il conformismo, la subordinazione alle gerarchie accademiche, l’assenza di idee originali o la capacità di occultarle costituiscano fattori premianti per la carriera universitaria." Per questo motivo ormai le innovazioni in campo umanistico non possono provenire dall'ambiente universitario. Se un giovane ricercatore è subordinato al barone di turno, non potrà dissentire dall'ideologia dominante e quindi non potrà mai innovare. A conferma di ciò, i contributi degli ultimi decenni si limitano ad una serie infinita di rinvii bibliografici e ad un'imbarazzante ipertrofia di note a piè di pagina. Di nuove idee non c'è traccia. Nella prima metà del Novecento non era così. Non era rara la diffusione di contributi davvero illuminanti in ambito universitario. Ma, dopo la conclusione della stagione idealistica e l'avvento del progetto egemonico della sinitra, gli studi umanistici si sono chiusi su se stessi. Io ho conosciuto un solo tipo di università. Quella in cui un noiosissimo professore, nel 95% dei casi privo di entusiasmo e vitalità, ripete ad ogni lezione i suoi studi che sanno di muffa. Mai un'illuminazione, mai un'idea in fermento. Non so se questo modo stanco e avvilito di intendere la cultura sia il frutto dell'egemonia della sinistra, anche perchè io l'università precedente non l'ho conosciuta. So che il conformismo e l'immobilismo di cui parla Nistri sono reali. E che comunque una grande responsabilità è dell'egemonia culturale. Non ci possono essere egemonie nella cultura e nella ricerca. La ricerca è per definizione libera. Chi va in cerca non deve avere nessun padrone, altrimenti rischia di non trovare mai nulla.
Baroni d'Italia, lasciate la ricerca libera.
Ricercatori d'Italia, ribellatevi e date spazio al vostro intuito e alla vostra intelligenza. E soprattutto, leggete meno libri dedicando più spazio alla critica personale.
Voglio rubare una frase ad Enrico Nistri e chiudere ricordando a tutti cosa affermava il filosofo spagnolo Ortega y Gasset a chi lo rimproverava di pubblicare testi senza citazioni: "Può darsi che nei miei libri manchino le note a piè di pagina, ma nei libri di chi mi critica vedo le note a piè di pagina, ma non vedo il libro".
Nei suoi libri c'era il genio creatore, non la muffa...
Antonio S.

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mercoledì, giugno 07, 2006

Sono un negazionista?

Miei cari lettori,
per il mio post di ieri "11/9: una storia da riscrivere?" sono stato accusato di negazionismo dal blog tocquevilliano 1972.
Ho semplicemente espresso dei dubbi sulla versione ufficiale dell'11 settembre. Vi sembro per questo un negazionista? O piuttosto sono stato coerente col revisionismo che da tempo sostengo in questo blog?
Antonio S.

martedì, giugno 06, 2006

11/9: una storia da riscrivere?

Visto che su questo blog si è parlato altre volte di revisionismo, ho intenzione di continuare su questa linea. La storia non si scrive una volta per tutte. Deve essere invece continuamente aggiornata e modificata.
La questione dell’11 settembre sta diventando molto spinosa. Non avrei mai creduto di dover mettere in discussione la natura di quel tragico evento. Ma dopo aver visto il filmato Pentagon Strike ho dovuto ricredermi.
Si parlò da subito di un attentato terroristico e tutto fu archiviato assai rapidamente.
Le voci non allineate alla versione ufficiale sono state sempre pochissime, e subito messe a tacere. Come accadde a Thierry Meyssan, giornalista investigativo francese che nel 2002 pubblicò “L’incredibile menzogna”, in cui veniva messa in dubbio gran parte della versione ufficiale.
Oggi, a quasi 5 anni dagli eventi, non si può più far finta di nulla. Anche il Italia la questione è esplosa, da quando la trasmissione televisiva Matrix ha dedicato due puntate al dibattito. Si sono fronteggiati un freddo Giulietto Chiesa ed un incredulo Marco Taradash.
Ma allora si trattò di un attentato terroristico, come sostiene la versione ufficiale, o di un complotto organizzato dagli Usa per legittimare la successiva guerra al terrorismo?
Il partito “complottista” cerca di dimostrare tre tesi:
1. Il Pentagono non è stato centrato da un Boeing, ma da un altro aereo o razzo di dimensioni minori.
2. Le Twin Towers non sono crollate a causa dell’alta temperatura raggiunta all’interno delle strutture. Si è trattato invece di due demolizioni controllate. Anche il World Trade Center 7 è stato demolito con cariche esplosive.
3. Qualcuno negli Usa era a conoscenza di entrambi gli attentati. O forse gli attentati stessi sono stati preparati proprio dagli Usa.

Molti siti, tra cui Luogocomune.net, riportano a sostegno di queste tre tesi moltissime prove. In particolare mi sembrano degne di nota:
1a. Non sono stati trovati resti di un Boeing all’interno e nelle vicinanze del Pentagono.
1b. Subito dopo l’impatto, sul prato del Pentagono non compaiono scie dell’aereo, che necessariamente doveva aver toccato il suolo qualche metro prima dell’impatto.
1c. Il foro sull’edificio del Pentagono appare di dimensioni ridottissime se paragonate a quelle di un Boeing.
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2a. All’interno delle torri non si è mai raggiunta una temperatura così elevata da far cedere l’acciaio.
2b. Le immagini sembrano dimostrare la presenza dei caratteristici sbuffi laterali provocati da detonazioni che precedono di qualche istante il crollo.
2c. Diversi testimoni riferiscono di aver udito delle esplosioni prima del crollo.
2d. Il World Trade Center 7 è un modernissimo edificio completamente in cemento armato. Non è spiegabile in nessun modo come possa essere crollato a causa di un piccolo incendio.
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3a. Le forze aeree degli Stati Uniti non sono intervenute tempestivamente alla notizia dei dirottamenti, come è previsto dai meccanismi di emergenza.
3b. Pur sapendo del rischio di attentati simili, tutti i dirottatori hanno potuto agire in maniera indisturbata fino al giorno dell’attentato.
3c. Al contrario subito dopo l’11 settembre sono stati ritrovati prove indiscutibili che inchiodavano i terroristi.
3d. Tutte le riprese dell'attacco al Pentagono (per esempio quelle dello Sheraton Hotel) sono state subito sequestrate dall’FBI, che non le ha rese mai disponibili.

La versione ufficiale è difesa con molta competenza da due blog: Paolo Attivissimo e Sul terrorismo. Blog che comunque non riescono a smontare pienamente le accuse di chi sostiene il complotto USA.
Al di là delle questioni tecniche restano a mio avviso due interrogativi di ordine generale che le teorie complottiste non riescono ancora a spiegare:
1. Perché Osama Bin Laden si è lasciato accusare di un evento di cui non ha colpa? Si è forse anche lui organizzato con gli USA?
2. Come possono gli Usa aver commesso un errore così enorme? Dispongono dei migliori esperti mondiali in quei settori, eppure hanno lasciato prove del complotto ovunque. Come potevano mai pensare di farla franca? Come potevano pensare di organizzare una cosa così enorme senza lasciare tracce? Sembra molto strano.
A mio avviso, al di là delle questioni tecniche, andrà fatta luce anche su questi due punti. Altrimenti resteranno anche nelle teorie del complotto molte zone d’ombra.

Per ora non resta che porre molta attenzione allo sviluppo della vicenda.
Perché la storia non si scrive una volta sola. La storia la stiamo scrivendo anche noi in questo istante.
Antonio S.

venerdì, giugno 02, 2006

Scuola ed educazione: no all'utilitarismo, sì ai saperi di base

Vi propongo un passo tratto da un'intervista rilasciata qualche giorno fa al Messaggero dal noto pedagogista Benedetto Vertecchi, intervista in cui ha criticato alcune innovazioni operate dal ministro Moratti. Vi premetto che sono sostanzialmente d'accordo con Vertecchi.
Da pedagogista, che cosa raccomanda all’Unione?
«L’esigenza di ricostruire la cultura della scuola. Perché la scuola non si regge solo sugli ordinamenti, ma sull’asse culturale. Quello usato dal centrodestra, per esempio, era di stampo utilitarista. Era fondato su tre slogan, quelli delle tre I, che sono l’esemplificazione di una cultura che punta all’utilizzo immediato, come riscontro alle richieste del mercato e del sistema economico. Tutto ciò è molto rischioso».
Professore, perché è rischioso?
«Nei Paesi evoluti, industrializzati, l’istruzione deve servire per un lungo percorso della vita. Intendo dire che la cultura acquisita tra i banchi deve essere sufficientemente robusta da garantire ad ognuno di poter modificare il profilo per tutto l’arco della vita. Altrimenti, si diventa obsoleti. La scuola deve dare gli strumenti culturali di base, per innestare su di essi tutto il resto delle conoscenze e delle competenze che l’evoluzione del lavoro e della società richiedono. Ebbene, a mio giudizio la riforma Moratti va in un’altra direzione. E’ legata alle logiche del mercato».
Vuol dire che se quello che si impara è finalizzato ad una spendibilità immediata è effimero?
«Proprio così. La cultura non può essere legata ad obiettivi di breve termine, le logiche delle attività produttive sono contingenti. Le logiche educative, invece, devono essere di lungo respiro, puntando ad obiettivi validi nel tempo, altrimenti si sbaglia clamorosamente».
Fin qui è tutto chiarissimo e condivisibile. E' evidente che la prematura specializzazione tecnica non sia formativa. La vera cultura è quella che è in grado di ri-orientarsi continuamente.
Tutto chiarissimo, dicevamo. Ritengo un grave errore basare tutto sulle tre I o altre banalità. Ci vuole la cultura di base, quella cultura che ci fa sentire sempre pronti davanti alle sfida della vita. E in questo il ministero Moratti ha sbagliato strada.
Ottimo Vertecchi quindi.
Ma poi all'ultima domanda crolla.
Che cosa rimprovera alla riforma Moratti?
«Ci sono gravi errori di fondo, ma vorrei metterne in luce uno in particolare. L’impianto degli otto licei, per come è stato presentato, ha fatto danni pesanti. La gente non si è più fidata dei tecnici e dei professionali, c’è stata una fuga verso i licei a danno di istituti che, così, si sono indeboliti. Ma non possiamo liceizzare tutto, non tutti andranno all'università, l’Italia ha bisogno anche di altri ordini di studio».
Ebbene, è evidente quanto quest'ultima affermazione di Vertecchi sia in contraddizione col resto della sua intervista.
Se portiamo i ragazzi verso i licei, rendiamo più semplice proprio quel compito di cui il pedagogista parlava poco prima: formare nei nostri ragazzi una solida cultura di base, una cultura che offrirà loro la capacità di essere sempre all'altezza di ogni cambiamento. E questa cultura si forma proprio frequentando i licei, e non le scuole tecniche.
Il professore aveva espresso poco sopra la sua contrarietà all'ottica utilitaristica. E poi invece si batte per limitare il diffondersi della cultura liceale, che di quell'ottica è negatrice. Ci viene quasi il sospetto che anche questa volta l'unico fine sia stato quello di criticare la Moratti.
Peccato, perchè le idee di base di Vertecchi sono assolutamente condivisibili.
Lo ripeterò fino alla nausea: la scuola ha bisogno di buoni pedagogisti, non di politicanti.
Antonio S.

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