LIBERI DALLA FORMA

IL PRIMO BLOG NET-FUTURISTA

giovedì, novembre 30, 2006

L'ha detto... Giovanni Papini

"Morirò senza avere saputo, senza avere detto quel che veramente sono, nel fondo del mio torbido e complesso animo?"
Giovanni Papini, Diario (2 gennaio 1950)
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Quanta umanità, quanta grandezza d'animo in queste parole. Il tormento, l'ansia di conoscere, di dire e di fare. Un animo profondo, concentrato e in perenne evoluzione. Un animo poetico.
Le parole di Papini, nonostante i continui tentativi di oscurare la sua figura, restano scolpite nella storia della nostra letteratura.
Antonio S.

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giovedì, novembre 23, 2006

Manifesto tecnico della Poesia NeoFuturista

Manifesto tecnico della Poesia NeoFuturista

Siamo entrati in un nuovo millennio. Ci siamo lasciati alle spalle un secolo di crepuscolari, dannunziani, ermetici, neorealisti, intimisti e avanguardisti di ogni specie. Oggi è arrivato il momento di cambiare. Il NeoFuturismo è convinto che per ridare forza al nostro paese bisogna puntare sul rilancio della poesia. È quindi ora di mettere da parte la poesia molle, rassegnata, avvilita e svuotata di forza e coraggio. Il valore umano e il genio artistico del popolo italiano meritano una decisa inversione di tendenza. Ed è per questo motivo che oggi noi lanciamo questo Manifesto tecnico della Poesia NeoFuturista.

  1. I contenuti saranno energici e profondamente vitali. Noi vogliamo far rinascere la grande poesia italiana. Basta con gli inutili sentimentalismi e con la poesia delle piccole cose. La poesia è per animi grandi e si occupa di cose grandi. Il resto non ci interessa.
  2. La poesia, come tutta la letteratura, non dovrà mai ridursi ad uno sterile sperimentalismo di maniera. La poesia non è un gioco. La poesia è vita.
  3. L’energia dei nostri temi dovrà essere concentrata in frasi di grande potenza comunicativa. Il poeta neofuturista ha una parola d’ordine: sintesi. Per svegliare l’uomo non occorrono tanti giri di parole.
  4. La scelta metrica sarà personalissima e dettata dal tema della lirica. Preferenza assoluta per i ritmi incisivi e incalzanti.
  5. Il lessico dovrà essere audace, duro, efficace, se necessario aggressivo, crudo e violento. Qualora il lessico italiano non dovesse disporre dei termini in grado di assecondare la forza visionaria della nostra ispirazione, non ci limiteremo in alcun modo e conieremo neologismi neofuturisti.
  6. La sintassi sarà semplificata al massimo grado. Il poeta neofuturista punta diritto al bersaglio.
  7. La punteggiatura, ridottissima, non dovrà per nessun motivo rallentare il flusso dell’energia creativa.
  8. Dedicheremo una grande attenzione all’aspetto sonoro della poesia. Allitterazioni, assonanze, consonanze e rime non saranno mai usate a scopo decorativo, ma per potenziare energicamente il nostro messaggio.
  9. Analogamente metafore e analogie saranno impiegate per operare collegamenti tra realtà in apparenza distanti. Questi accostamenti dovranno essere fulminei e immediati, non cervellotici e frutto di menti contorte.
  10. Laddove necessario, useremo differenti caratteri tipografici per agevolare la resa espressiva della lirica o di singole parole e suoni. In questo modo daremo maggior rilievo ad alcune porzioni di testo, che illumineranno il lettore e si scolpiranno nella sua mente per sempre.

La poesia dei moribondi è finita.

Antonio Saccoccio

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domenica, novembre 19, 2006

Destra e sinistra: cadaveri di cui sbarazzarci al più presto

"Ogni idea politica è un organismo vivo. I partiti sono quasi sempre destinati a diventare dei grandi cadaveri gloriosi."
Filippo Tommaso Marinetti
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Parto da questa affermazione di Marinetti per una riflessione. La mia convinzione è che i partiti attuali siano dei cadaveri. Ogni partito nasce intorno ad un'idea condivisa, ad un pensiero, un sogno, un'ideologia. Il problema è che con il passare degli anni le situazioni mutano e si rende necessario mutare quel pensiero, quell'ideologia. E succede che il partito non riesce invece ad adattarsi ai tempi, non adatta quel pensiero iniziale alle mutate situazioni. E così facendo muore, diventa cadavere.
Ora noi non abbiamo solo i cadaveri dei partiti da togliere di mezzo.
Abbiamo anche due super-cadaveri, molto più ingombranti. Mi riferisco alle categorie destra/sinistra. Categorie non solo superate, ma inutili e dannose.
Riflettiamo un attimo. Non c'è un solo parametro che può servire a distinguere la destra dalla sinistra.
Prendiamo il caso della destra e della sinistra italiana.
Destra conservatrice e sinistra progressista? Assolutamente no. C'è un pensiero conservatore a destra così me ce n'è uno di sinistra. E ci sono progressisti ovunque.
Attenzione all'individuo a destra, attenzione al sociale e alla collettività a sinistra? Neppure per scherzo. C'è una tradizione di destra attenta al sociale quanto quella di sinistra.
Cattolici a destra e laici e atei a sinistra? Neppure questa è buona. A destra è pieno di laici, come a sinistra ci sono, accanto ai laici e agli atei, anche i cattolici.
Forse, direte voi, le differenze sono dal punto di vista economico. E invece anche qui c'è confusione. O meglio posizioni sfumate, non così differenti come si vuole far credere. Ormai tutti si dicono liberali, persino i comunisti riescono a votare provvedimenti liberali.
E allora? Mi spiegate cosa sono questa destra e questa sinistra?
Ve lo dico io cosa sono. Sono vecchie e consunte etichette che ormai non servono più a nulla. Anzi ad una cosa servono: a farci schierare in maniera apriorisitica e a farci dividere come degli imbecilli tra chi sta da una parte e chi sta dall'altra.
Destra e sinistra sono ormai come quelle scatole sulle quali c'è scritto qualcosa sopra, ma che non contengono nulla all'interno.
Nessuno fa caso ad una cosa. L'elettore è ormai nella posizione paradossale di votare quella che ritiene la destra o la sinistra e poi di chiedere dopo mesi "Fate qualcosa di destra!" o "Fate qualcosa di sinistra!". Insomma, non si sceglie più il contenitore per quello che c'è dentro, ma per quello che c'è scritto sopra. E poi dopo mesi si scopre che dentro non c'è nulla che corrisponde alle aspettative. E' chiaro - dico io - si è scelto qualcosa che non esiste più, qualcosa di vuoto.
Anche i politici sono ormai presi in questo vortice senza senso. Quelli di sinistra si affannano a rispolverare una ottocentesca lotta di classe (come se non ne avessimo già tanti di contrasti!), quelli di destra anacronistici elogi della patria (in un momento in cui la patria è a terra come mai è stata!). A volte mi immagino gli esponenti dell'attuale governo che di notte pensano invano "Cosa posso fare di sinistra?" "Che mi posso mai inventare?". E non trovano soluzione, perchè non sanno neppure loro cosa sia la sinistra.
La verità è che destra e sinistra sono morte, sono dei super-cadaveri di cui sbarazzarci al più presto.
Ci troviamo oggi in una situazione in cui è necessario coniare categorie nuove. Io credo che già cento anni fa Marinetti avesse capito questo. Sono del parere che ormai si debba parlare soprattutto di futuristi e passatisti. I futuristi credono che la situazione attuale non sia l'unica possibile e guardano ad una serie di possibili soluzioni alternative; i passatisti credono invece che la società attuale sia l'unica possibile e guai a proporre novità. Il futurista non ha paura di parlare fuori dal coro e con coraggio critica e propone nuove soluzioni, il passatista se la fa sotto e si adegua vigliaccamente al pensiero comune.
Oggi in Italia abbiamo bisogno di futuristi, anzi di Neofuturisti, perchè sono decenni che siamo fermi, bloccati socialmente e culturalmente.
Quindi, se vogliamo che qualcosa cambi in meglio, smettiamola di parlare di destra e di sinistra. Smettiamo di parlare di cadaveri.
Antonio S.

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mercoledì, novembre 15, 2006

Papini e la scuola: cambiare i programmi non aiuta la riforma morale del paese

Ho più volte ribadito che per ridare vita alla nostra scuola non servono nuovi programmi, ma serve una vera e propria rivoluzione. Mi ha sorpreso molto leggere un articolo di Giovanni Papini del 3 giugno del 1909. Quasi un secolo fa, Papini era del mio stesso avviso. In questo articolo, intitolato "La scuola elementare" ma che tratta della scuola nel suo complesso, Papini si interroga sul significato delle riforme scolastiche del suo tempo e afferma che non serve a nulla stare a discutere sulle ore o materie di insegnamento e ancor meno sui programmi. Quello che ci vuole è una riforma morale complessiva del paese. E questa non si fa solo con la scuola. E' l'uomo che deve cambiare, non i programmi. Vi riporto la parte centrale dell'articolo, quella più incisiva.
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"Io batto su questo carattere, diremo così, personalistico, della questione, perchè confesso e dichiaro di avere pochissima fede nei programmi e moltissima negli uomini. Sta bene che i programmi li fanno gli uomini, ma i programmi, anche se fatti da uomini grandi, quando siano applicati da e su uomini piccoli, non servono a nulla, mentre gli uomini ben creati, anche senza programmi riveduti, approvati e riformati, sono capaci d'insegnare e far capire meglio assai di certi omettini che salgono le cattedre colle tasche piene di corsi di pedagogia, di regolamenti scolastici e d'istruzioni ministeriali. E quelli che hanno giudizio vedono bene che la pianta uomo non si migliora soltanto colle scuole e coi metodi, e che si posson mutare da un momento all'altro, con i ponzamenti di undici persone, i capricci di un ministro e il voto di tre o quattrocento incompetenti, le cose da insegnarsi nei licei e le ore da spendere in ciascuna "materia", ma non già i caratteri e le menti degli uomini. La formazione delle anime dipende da cento cose, fra le quali la scuola è una sola; e quelli che pretendono mutare gli uomini cambiando i programmi delle scuole, mi par che somiglino a quei cattivi dottori che per fare sparire le malattie non fanno altro che procurare di mandar via i sintomi esterni. La riforma morale di un paese si compie a poco a poco, con la meditazione personale dei migliori, con gli sforzi innumerevoli e solitari dei piccoli, con le parole di fuoco dei grandi profeti e risvegliatori e non già colle commissioni e i rimpastamenti legislativi. E mentre la riforma morale si compie, anche la scuola, come tutte l'altre cose, va migliorando e migliorerebbe anche se mantenesse i più rugginosi e arcaici programmi del mondo."
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Nel 2006 siamo esattamente nelle stesse condizioni di cento anni fa. Ancora oggi chi ci governa ha la pretesa di riformare la scuola adattando il numero di ore da destinare alle singole materie o modificando ogni dieci anni i programmi. La riforma morale del paese, di cui tanto abbiamo bisogno, non si ottiene in questo modo. Quindi, per favore, lasciamo stare i programmi e conserviamo le energie per discutere di cose più importanti.
Anzi, una modifica ai programmi facciamola pure. Facciamo leggere Giovanni Papini. Di sicuro tra qualche anno ci saranno più uomini veri in giro.
Antonio S.

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sabato, novembre 11, 2006

Annozero: odio o varietà?

Giovedì sera. Prima serata. Rai Due. Va in onda il varietà.
No, non mi correggete. Non mi sono sbagliato. Si tratta di Annozero. E “varietà” è l’unica definizione utile a giustificare la messa in onda di Annozero. Perché solo se si prende questa trasmissione come un “varietà” si può tollerarne l’esistenza. Così com’è, con la definizione di trasmissione di approfondimento, di dibattito o chissà cos’altro, non può essere trasmessa.
Mi spiego più chiaramente. Ho visto un’ora di trasmissione e non è presente un termine nella lingua italiana per definire in negativo Annozero. Oscena, vergognosa, disgustosa, scandalosa, vomitevole. No, non possono bastare. Giovedì sera in Annozero ho assistito ad un’ora di barbarie. Ma forse non è neppure giusto per i barbari. Insomma, come diceva Diego Abatantuono in un vecchio film, è “l’apice dell’apoteosi della schifezza”. Sempre se vogliamo prendere sul serio la trasmissione. Perché se dalla prossima settimana ci dicono che è un varietà, allora le cose cambiano. Se è una versione riveduta della Corrida, niente da dire. Ma finchè non ci diranno che si tratta di un varietà e non di informazione, noi abbiamo il diritto di restare esterrefatti e di scrivere pagine come questa. Sì, perché tutto in Annozero è talmente ed evidentemente dilettantistico che non si può credere che non sia voluto. Almeno, il dubbio viene. Anche se poi, a mente fredda, dobbiamo convenire che fanno davvero sul serio. Dilettantismo assoluto. Dilettantismo causato da un desiderio talmente esasperato di forzare ogni situazione da risultare involontariamente comico. Un’intervistatrice va in giro in strada e cerca di carpire l’ingenuità dei poveri passanti con domande ambigue e tendenziose. E se alla prima ambiguità il poverino non ci casca, ecco che lei diventa sempre più pressante, tradisce nervosismo, ma va avanti finchè non ottiene quello che vuole. Ma poi si torna in studio e una giornalista araba, tale Rula Jebreal, prova ad intervistare Daniela Santanchè. Ma la Santanchè è tranquillissima, le domande della Jebreal non pungono affatto, anzi l’esponente di An fa un figurone. L’araba si innervosisce vistosamente, fa smorfie strane, il suo colorito rivela imbarazzo e difficoltà. Insomma, la giornalista (sic) non riesce nel suo compito, l’intervista fallisce. Le domande in realtà non sono da intervista, ma da interrogatorio. Anzi neppure, perché per essere un interrogatorio è piuttosto insulso. Diciamo che è un attacco a testa bassa. Ma talmente bassa che finisce per non vedere più neppure il bersaglio e dare una capocciata clamorosa al muro. Comunque Santoro è lì pronto. Lei è una ragazzina, può sbagliare. Ma poi c'è lui: il Conduttore! E allora prende un giovane sacerdote veneto con l’intenzione di metterlo alle corde e mortificarlo. Inizia l’attacco, ma anche qui la lucidità è imbarazzante. Santoro mena diversi colpi a vuoto. Poi, preso dal nervosismo anche lui, decide di giocarsi l’asso che ha nella manica. Tira fuori Gesù Cristo! Sì, avete letto bene. Santoro parla di Gesù Cristo e qui ne spara una delle sue destinate a restare nella storia. In poche (perché poche ne aveva) parole accusa il giovane sacerdote di non interpretare correttamente il messaggio di Cristo, che era un messaggio di fratellanza universale. Sì, Annozero è illuminante. È Santoro l’interprete del verbo, il povero sacerdote non ne sa nulla di queste cose!! Ma ormai, l’avrete capito, siamo al delirio. Santoro pare rinfrancato, probabilmente non si rende neppure conto di quello che ha appena detto, e allora trova il modo di mettere persino in dubbio il concetto di “identità”. Per lui è una parola senza senso… “Che è questa identità?” si chiede smarrito. E vi ricordo sempre che non siamo alla Corrida.
In tutto questo Paolo Ferrero, ministro delle Politiche sociali, e Daniela Santanchè di An sono tranquillissimi. Certo, il ministro comunista non ha un compito difficile, non è lui nel mirino, ma ad ogni modo sorprende come, per una volta, non siano i politici ad offrire uno spettacolo indecente. Parte tutto e soltanto dai giornalisti professionisti.
Ma non c’è tregua. Si passa, senza un attimo di sosta, di nuovo alle interviste in esterno. E qui chi trovano? Un prete nazista. O almeno così ce lo presenta lo squarcio che ritaglia per noi il regista. Ma si passa di nuovo in strada: c’è un signore che si dichiara un moderno crociato e poi – immancabili! che credevate? – ci sono i cortei di Forza Nuova, con i saluti romani in bellavista.
Non è la Corrida. Lo ripeto. Non è la Corrida.
Si tratta di una trasmissione così volontariamente intollerante, antidemocratica e illiberale da meritare la censura. Non si può lasciare che persone che si definiscono giornalisti diffondano, tramite uno strumento potente come la televisione, idee tanto violente, odi così radicali. Io stesso avevo acceso la televisione ed ero tranquillissimo; in seguito mi sono reso conto che nel corso di quell’ora Santoro era riuscito a generare in me un sentimento di ostilità nei suoi confronti e di tutti i comunisti che la pensano come lui (che a mio avviso sono pochissimi, anche se rischiano di crescere proprio grazie a trasmissioni come queste; e rischiano di crescere anche gli xenofobi per lo stesso motivo). Insomma, la televisione utilizzata per dividere la popolazione in maniera brutale: da una parte i “cattivi” nazisti-fascisti-razzisti, dall’altra i “buoni” che amano tutti. Ovviamente il telespettatore con una cultura sopra la media si rende subito conto che chi usa la televisione in maniera tanto illiberale certamente non può essere tra i “buoni”. E questo fa sì che ognuno pensi di essere il “buono” e di avere un nemico terribile da sconfiggere. Per il comunista i nemici saranno i preti nazisti. Per il liberale saranno i comunisti capaci di mettere in piedi una simile trasmissione. In ogni caso avremo, come risultato, un inasprimento degli animi senza precedenti. Una spirale d’odio.
Insomma, sono ormai convinto: questa trasmissione non può andare ancora in onda. Ma, quando meno te l’aspetti, ecco la sorpresa! Compare… Travaglio! E allora, tiriamo tutti un sospiro di sollievo: era la Corrida!
Sì, avevamo dubitato, ma non poteva essere vero. Per fortuna Travaglio ci fa capire che questo è solo un varietà. I numeri del tuttologo (scusatemi, ma in questo caso “giornalista” proprio non riesco a scriverlo) sono esilaranti. Diciamo la verità. A tratti sembra un Benigni uscito male (e già l’originale è deprimente). Ma comunque ci toglie ogni preoccupazione. Travaglio si esibisce in un tourbillon di idee e citazioni senza il minimo nesso. Sembra leggere ritagli sparsi di giornali. C’è spazio per tutto: Islam, terrorismo, mafia, camorra, Berlusconi, il contratto con gli italiani (sì, quello di 5 anni fa!) e poi – ascoltate bene! – il vigile di quartiere con palmari e antenne! Santoro, da attore consumato, ha già mutato il suo ghigno dubbioso (consumato mentre ascoltava il giovane prete) in un sorriso di compiacimento. Senonchè col passare del tempo si accorge anche lui dell’inconsistenza dell’intervento di Travaglio e appare nervoso. Il tutto mentre la Santanchè si guarda intorno, allibita come tutti noi. Ma Travaglio sta concludendo. Ora, pensiamo, la Santanchè interviene e lo polverizza. E invece no! Perché Santoro è più veloce di qualsiasi pensiero (anche il più maligno) e dà la linea nel giro di 2-3 secondi alla pubblicità, senza permettere la replica a nessuno degli ospiti. E, terminata la pubblicità, ovviamente, si passa ad altro argomento. Travaglio è ormai dimenticato.
Ma, tranquilli, era la Corrida!
Antonio S.

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mercoledì, novembre 08, 2006

I mali dell'università italiana

Nelle università italiane andavano cambiati i professori e mantenuti, con pochi aggiustamenti, i programmi.
Invece i nostri saggi governanti hanno deciso di stravolgere i programmi (riducendoli) e confermare in cattedra i vecchi baroni impolverati e ammuffiti.
Almeno prima la forza e la grandezza dei contenuti bilanciava in qualche modo la debolezza intellettuale e spirituale dei baroni. Ora lo sfascio è totale: mancano i modelli nel presente e pure quelli del passato (mi riferisco alla materie umanistiche in particolare).
Per riformare con intelligenza l'università italiana serviva essere conservatori da un lato e progressisti dall'altro. Hanno deciso di essere semplicemente reazionari.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Complimenti.

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lunedì, novembre 06, 2006

Saddam Hussein deve essere punito

La condanna a morte di Saddam Hussein sta provocando reazioni in tutto il mondo occidentale.
Io voglio essere molto chiaro.
Il feroce dittatore non si è minimamente pentito, non ha chiesto nè scusa nè perdono per i suoi crimini. Tuttavia anche nel suo caso resto contrario alla condanna a morte.
Ma una cosa deve essere chiara: Saddam deve essere punito.
Per prima cosa non deve essergli più permesso di esprimersi con quell'arroganza che ha dimostrato più volte di fronte ai giudici.
C'è gente che è stata massacrata da quell'uomo, gente che ha sofferto moltissimo e continua a vivere nella miseria.
Non voglio che Saddam venga condannato a morte, ma voglio essere sicuro che non abbia più un'esistenza agiata. Intendo dire che è inaccettabile che il popolo iracheno sia ridotto ancora in miseria e l'ex dittatore sia ben nutrito e vestito, viva e dorma comodamente.
Saddam deve continuare a vivere, ma vivere in maniera dura. Deve innanzitutto lavorare per vivere. Deve mangiare lo stretto necessario per sopravvivere. Non deve avere nessun agio che la popolazione irachena non abbia. Una cella, una branda per dormire e un pezzo di pane.
Questa è la minima giustizia che richiedo.
E che non gli sia più permesso di esprimersi con quell'arroganza nei confronti di noi occidentali. Perchè è proprio grazie alla cultura di noi occidentali che lui è ancora in vita e veste ancora in camicia e giacca (cosa che io ritengo comunque inaccettabile e sbagliata).
Noi non possiamo imporre a quest'uomo il pentimento o la conversione, ma possiamo garantire a tutti la giustizia minima.
Vedremo come andrà a finire.
Se non verrà condannato a morte, ritengo che tutti noi dovremo essere informati su che tipo di vita condurrà Saddam Hussein, uno dei più feroci e disumani dittatori della storia.
Antonio S.

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venerdì, novembre 03, 2006

Prezzolini e il Codice della vita italiana: guadagnar molto faticando poco

Una delle cose che danno più soddisfazione è leggere un pensiero di uno scrittore, un filosofo, un sociologo e pensare "Questo è proprio quello che penso e dico io da tanto tempo!".
Sono questi autori che uno finisce col considerare quasi come amici. Rileggere il Codice della vita italiana (1921) di Giuseppe Prezzolini (1882-1982) è come rileggere pagine della mia vita, del mio pensiero. Ci sono cose che ho pensato quando avevo 20 anni, quando ne avevo 25, e cose che penso ancora oggi.
Prezzolini è uno di quegli scrittori che l'Italia ha ingiustamente dimenticato. Nel 1903 (a soli 21 anni!) fondò con Giovanni Papini la rivista "Il Leonardo" e nel 1908 "La voce", la più importante ed autorevole delle riviste fiorentine.
Oggi voglio ricordarvi un paragrafo di quel Codice della vita italiana che tutti dovremmo conoscere.
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Capitolo VIII. - Dell'ideale

44. C'è un ideale assai diffuso in Italia: guadagnar molto faticando poco. Quando questo è irrealizzabile, subentra un sottoideale: guadagnar poco faticando meno.
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E' incredibile come, dopo 85 anni, nulla sia cambiato. In Italia (e soprattutto in certe zone d'Italia) è ancora pienamente diffusa questa mentalità: si cerca di lavorare il meno possibile e nello stesso tempo di guadagnare tanto. Il che non sarebbe neppure un errore: se si riesce a guadagnare molto con il minimo sforzo vuol dire che si è bravi e particolarmente efficienti. Il problema è che questa mentalità coincide in Italia non con l'efficienza, ma con la triste realtà del parassitismo.
Quando quest'ideale tramonterà, forse avremo un paese meno povero e avvilito.
Se vogliamo cambiare i nostri vizi italici, ogni tanto rileggiamo questo paragrafo 44 del Codice della vita italiana di Giuseppe Prezzolini. O magari stampiamolo e appendiamolo al muro di ogni ufficio. Magari qualche coscienza si sveglierà...
Antonio S.

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giovedì, novembre 02, 2006

L'ha detto... Seneca

Seneca, De vita beata, 25, 1
"Mettimi in una casa ricchissima, mettimi dove oro e argento siano d’uso comune: non insuperbirò per queste cose, che se anche stanno in casa mia, sono al di fuori di me. Trasferiscimi sul ponte Sublicio e gettami fra i bisognosi: non per questo tuttavia mi disprezzerò, perché siederò fra coloro che porgono la mano all’elemosina. Che importa infatti per la sostanza se manca un tozzo di pane a chi non manca la possibilità di morire? Che dunque? Preferisco quella splendida casa al ponte."
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Questa riflessione di Seneca è per ricordarci che il denaro non è un male in sè. E' l'uomo che divinizzando il denaro lo rende un male. Ci siamo dimenticati che il denaro è un mezzo, non un fine; e quando si scambia il mezzo per il fine, sono sempre guai. Lasciamo sempre il denaro fuori di noi, non lasciamolo mai entrare dentro. Dentro abbiamo cose più preziose, che hanno bisogno di tutto lo spazio a disposizione.
Antonio S.

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