LIBERI DALLA FORMA

IL PRIMO BLOG NET-FUTURISTA

martedì, maggio 29, 2007

Manifesto del teatro futurista sintetico: verso il teatro neofuturista

Il teatro può essere ancora oggi fonte di grande interesse. Il futurismo introdusse nel teatro un linguaggio nuovissimo. Furono pubblicati svariati manifesti che si preoccupavano di creare una nuova concezione dello spettacolo teatrale. Furono create nuove forme di teatro: la sintesi teatrale futurista, la sorpresa teatrale, il dramma di oggetti, la sintesi tattile etc.
In seguito il teatro del Novecento ha sviluppato moltissime delle innovazioni futuriste. Anche in questo campo il Futurismo fu la vera e autentica avanguardia del secolo passato.
Vi riporto qualche passo particolarmente interessante tratto da Il teatro futurista sintetico, pubblicato nel 1915 da Marinetti, Corra e Settimelli. Si tratta di un manifesto che contiene intuizioni straordinarie. Purtroppo fu scritto in quei momenti in cui i futuristi spingevano per l’interventismo in guerra e quindi alcune pagine sono viziate da un eccesso di propaganda.Ma ecco qualche passo indimenticabile.
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“Senza insistere contro il teatro storico, forma nauseante e già scartata dai pubblici passatisti, noi condanniamo tutto il teatro contemporaneo, poiché è tutto prolisso, analitico, pedantescamente psicologico, esplicativo, diluito, meticoloso, statico, pieno di divieti come una questura, diviso a celle come un monastero, ammuffito come una vecchia casa disabitata.
[…]

Noi creiamo un Teatro futurista

Sintetico
cioè brevissimo. Stringere in pochi minuti, in poche parole e in pochi gesti innumerevoli situazioni, sensibilità, idee, sensazioni, fatti e simboli. […] Tutto questo teatro passatista o semifuturista, invece di sintetizzare fatti e idee nel minor numero di parole e gesti, distrusse bestialmente la varietà dei luoghi (fonte di stupore e di dinamismo) insaccando molti paesaggi, piazze, strade, nell'unico salame di una camera. Cosicché questo teatro è tutto statico.
Siamo convinti che meccanicamente, a forza di brevità, si possa giungere a un teatro assolutamente nuovo, in perfetta armonia colla velocissima e laconica nostra sensibilità futurista. I nostri atti potranno anche essere attimi, e cioè durare pochi secondi. Con questa brevità essenziale e sintetica, il teatro potrà sostenere e anche vincere la concorrenza col Cinematografo.
[…]
  1. E' stupido scrivere cento pagine dove ne basterebbe una, solo perché il pubblico per abitudine e per infantile istintivismo, vuol vedere il carattere di un personaggio risultare da una serie di fatti e ha bisogno di illudersi che il personaggio stesso esista realmente per ammirarne il valore d'arte, mentre non vuole ammettere questo valore se l'autore si limita a indicarlo con pochi tratti.
  2. E' stupido non ribellarsi al pregiudizio della teatralità quando la vita stessa (la quale è costituita da azioni infinitamente più impacciate, più regolate e più imprevedibili, di quelle che si svolgono nel campo dell'arte) è massima parte antiteatrale e offre anche in questa sua parte innumerevoli possibilità sceniche. Tutto è teatrale quando ha valore.
  3. E' stupido soddisfare le primitività delle folle, che alla fine vogliono vedere esaltato il personaggio simpatico e sconfitto l'antipatico.
  4. E' stupido curarsi della verosimiglianza (assurdità, questa, poiché valore e genialità non coincidono affatto con essa).
  5. E' stupido voler spiegare con una logica minuziosa tutto ciò che si rappresenta, quando anche nella vita non ci accade mai di afferrare un avvenimento interamente, con tutte le sue cause e conseguenze, perché la realtà ci vibra attorno assalendoci con raffiche di frammenti di fatti combinati tra loro, incastrati gli uni negli altri, confusi, aggrovigliati, caotizzati. Per es.: è stupido rappresentare sulla scena una contesa tra due persone sempre con ordine, con logica e con chiarezza, mentre nella nostra esperienza di vita troviamo quasi solo dei pezzi di disputa, a cui la nostra attività di uomini moderni ci ha fatto assistere per un momento in tram, in un caffè, in una stazione, e che sono rimasti cinematografati nel nostro spirito come dinamiche sinfonie frammentarie di gesti,parole rumori e luci.
  6. E' stupido sottostare alle imposizioni del crescendo, della preparazione e del massimo effetto alla fine.
  7. E' stupido lasciare imporre alla propria genialità il peso di una tecnica che tutti (anche gl'imbecilli) possono acquistare a furia di studio, di pratica e di pazienza.
  8. E' stupido rinunziare al dinamico salto nel vuoto della creazione totale fuori da tutti i campi esplorati

Conclusioni

1. abolire totalmente la tecnica sotto cui muore il teatro passatista;

2. porre sulla scena tutte le scoperte (per quanto inverosimili, bizzarre e antiteatrali) che la nostra genialità va facendo sul subcosciente, nelle forze mal definite, nell'astrazione pura, nel cerebralismo puro, nella fantasia pura, nel record e nella fisicofollia. (Es.: Vengono, primo dramma d'oggetti di F.T. Marinetti, nuovo filone di sensibilità teatrale scoperto dal Futurismo);

3. sinfonizzare la sensibilità del pubblico esplorandone, risvegliandone con ogni mezzo le propaggini più pigre; eliminare il preconcetto della ribalta lanciando delle reti di sensazioni tra palcoscenico e pubblico; l'azione scenica invaderà platea e spettatori; non escludere nessun mezzo per raggiungere questo scopo;

4. fraternizzare calorosamente coi comici, i quali sono tra i pochi pensatori che rifuggano da ogni deformante sforzo culturale;

5. abolire la farsa, il vaudeville, la pochade, la commedia, il dramma e la tragedia, per creare via via al loro posto le numerose forme del teatro futurista, come: le battute in libertà, la simultaneità, la compenetrazione, il poemetto animato, la sensazione sceneggiata, l'ilarità dialogata, l'atto negativo, la battuta riecheggiata, la discussione extralogica, la deformazione sintetica, lo spiraglio di esplorazione scientifica...;

6. creare tra noi e la folla, mediante un contatto continuato, una corrente di confidenza senza rispetto, così da trasfondere nei nostri pubblici la vivacità dinamica di una nuova teatralità futurista.

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La creatività di questo Manifesto è straordinaria. Probabilmente nel teatro lo spirito futurista, lo spirito marinettiano si sentiva completamente libero da qualsiasi vincolo. A teatro il futurista era davvero a suo agio. E da qui deriva l’incredibile successo e clamore che destarono le serate futuriste.
Certo leggendo questo Manifesto noi Neofuturisti restiamo incantati. Certamente ci sono cose da limare, da eliminare, da rivedere, da aggiungere. Ma a quasi un secolo di distanza, davvero le sintesi teatrali neofuturiste assomiglieranno moltissimo alle sintesi di Marinetti. Le grandi differenze sono nei contenuti, che si preannunciano ancora più rivoluzionari e soprattutto più pregnanti di quelli futuristi.

Ma
  1. brevità
  2. dinamismo continuo
  3. scardinamento della finzione scenica e delle barriere tra palcoscenico e pubblico
  4. abolizione di ogni regola e convenzione inutile e pedante

sono quattro cardini che il teatro neofuturista eredita in toto dal teatro sintetico futurista.
Presto la pubblicazione del Manifesto del teatro Neofutirista.

Antonio Saccoccio

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giovedì, maggio 24, 2007

Per creare qualcosa di grande occorre un animo grande

Posso con una certa facilità affermare che la domanda che mi pongo più frequentemente è "cos'è l'arte? cosa realmente si può intendere per arte?". Ci sono giorni in cui cerco di comprendere tecnicamente i miracoli dell'arte (analizzando i più minuti particolari), altri in cui cerco di penetrare nel profondo dell'atto creativo, altri ancora in cui mi confronto direttamente con i giganti del passato, a volte sopravvalutandomi altre soprovvalutandoli.
Eppure, devo ammettere che a volte rinuncio a darmi una risposta. Ci sono giorni che finisco col dirmi: "l'arte non esiste". E' una nostra creazione, una nostra invenzione, un nome e nulla più.
Poi ascolto un concerto o una sinfonia di Brahms, o la messa Papae Marcelli di Palestrina, o un pezzo per organo di Bach e penso: l'arte esiste!
Ricordo la forte emozione avuta ammirando il Poseidon di Capo Artemisio e penso: l'arte esiste!
Ripenso al rapimento che provo ogni volta che entro in una spoglia e nuda chiesa romanica e penso: l'arte esiste!
Certo, cosa possa essere arte e chi possa essere considerato un vero artista è difficile dirlo. Ognuno ha le proprie preferenze.
Io ho capito solo una cosa. Che l'arte zoppicante, quella che può essere arte o non può esserla, l'arte che ha bisogno di tante e poco credibili spiegazioni, che non si impone subito per la sua grandezza... quella non è vera arte. E' un esercizio. Più o meno riuscito.
Dietro una vera opera d'arte, dietro un capolavoro universale ci deve essere un grande uomo. Questa è per ora l'unica cosa che ho capito. Solo un grande uomo può partorire una grande opera d'arte.
Il resto è accademia. Criticume per chi ha l'animo piccolo ed è assai lontano dal percepire il miracolo della creazione.
Per questo vi propongo una delle cose più intelligenti che siano state a mio avviso scritte sull'arte.
“La cosa più alta che possa far l'arte è di darvi la fedele immagine della presenza d'un nobile essere umano. Essa non ha mai fatto più di questo, e non dovrebbe fare di meno”.
John Ruskin (1819-1900)
E' evidente che la nobiltà d'animo è una cosa relativa. Più hai l'animo grande e più hai difficoltà ad accontentarti. Forse è per questo che oggi ci si accontenta di tanta immondizia spacciata per arte. Segno che gli animi nobili sono pochi?
Un obiettivo del Neofuturismo è sicuramente questo. Non si fa arte tanto per riempire un foglio di carta o per sporcare una tela. Si fa arte perchè si vuole esprimere qualcosa di grande che si ha dentro. Se non abbiamo nulla di importante da dire, nulla di forte da esprimere, lasciamo stare. La vera arte, la grande arte ha questi presupposti.
Per creare qualcosa di grande occorre un animo grande.
Antonio S.

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domenica, maggio 20, 2007

Il suicidio dell'arte

Del mercato dell'arte si è già discusso altre volte su questo blog. Il nulla spacciato per arte. Per incrementare un mercato disgustoso.
Lascio la scena all'arguta e creativa prosa di Pablo Echaurren. Io mi limito ad evidenziare espressioni e termini particolarmente felici.
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“Si è dibattuto in lungo e in largo sui destini e sulla condizione dell’arte, se cioè a) fosse viva o vegetante, comunque in sensibile auspicata ripresa, oppure b) già morta e defunta. Da parte mia opto per una terza via essendo giunto alla conclusione che c) essa stia lentamente e insesorabilmente suicidandosi colle proprie mani coltivando un nulla così preziosamente e pretenziosamente rivestito di inconsistenza da sconfinare nel sempiterno enigma: “ma questi ci sono o ci fanno? O magari son’io che non ci capisco una beneamata mazza”. È chiaro che, utilizzando tale dubbio come un grimaldello, ogni più assurda baggianata assurge al grado di ermetica trovata, specie al parvenu che per non farsi prendere in contropiede di castagna finge di capire, di apprezzare, fino a convincersi sul serio di trovarsi al cospetto della Grande Impenetrabile Cultura che più pura di così si muore, di pizzichi & di noia. L’ultimamoda in voga ci vuole tutti aggiornati & acculturati, informati, disincantati, abituati alle extreme provocazioni (il troppo non è mai abbastanza) che sono un eccellente espediente per riverniciare il niente che vi si sottende e raggranellare velocemente fama e valsente. È così, con rimarchevole stomachevole attitudine al voltagabbanismo, si sono invertite tutte le coordinate: alla laicizzazione è subentrata una risacralizzazione, al rifiuto del consumismo si è sostituito il consumismo del rifiuto, allo sguardo disincantato sul conformismo, il conformismo dello sguardo. Jean Baudrillard parlava senza mezzi termini di sparizione dell’arte, qui molto più terra-terra si discetterà di spartizione della medesima o almeno di quel che ne resta, di divisione delle sue spoglie frattaglie in zone di influenza per le narcofamiglie riunite sotto la cupola del racket che gestisce il market e che ha saputo dalla pochezza di sostanza ricavare un’enorme ricchezza. Una microcomunità che non ci sente quando le si parla di quant’è bella la perdita dell’aura già vagheggiata da Baudelaire, dedita com’è a flebotrasfusioni di aristotracotanza a oltranza per affermare la propria egemonia, la quale si manifesta in una supremazia ad escludendum, che poco per volta sta ingenerando un’asfissia, un’afasia, un’idiozia mentale totale, tanto così globale da passare per qualcosa di quasi fenomenale, di epocale, quasi quasi estrinsecazione di un intelletto sagace, mordace, perfin capace di guardarsi dentro. E invece è solo impudenza elevata all’ennesima potenza, una danza sulla voragine della vuotaggine, l’atteggiamento irresponsabile di una confraternita di beoti sacerdoti della Chiesa di D’io, di chierici isterici, di burini arrampichini, di garruli ingegneri di eventy trendy, di novotendenti minus habenti, di tristi vetrinisti da museo, di debuttanti ributtanti, di militanti del party-to unico. Un caravanserraglio che non ci pensa menomamente a scongiurare l’insano gesto minacciato dalla sora Arte, anzi contribuisce solerte, come un solo dottor Morte, al collassamento finale sperando ardentemente che esso trapasso avvenga in modo indolore e augurandosi comunque di essere stato nominato come legittimo e solo erede nel memento del testamento dalla Big Moma.”

Pablo Echaurren, Il suicidio dell’arte

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domenica, maggio 13, 2007

Il rimbecillimento progressivo

“Il divertimento continuo è molto simile ad un rimbecillimento generale”

(dal Manifesto del Neofuturismo)

Ricordate questa frase del Manifesto del Neofuturismo? Ora leggiamo cosa scriveva Giovanni Papini nel 1951 ne "Il libro nero".

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In una rivista che si pubblica in lingua inglese a Bombay, Maya, ho trovato una corrispondenza da Nizza, firmata Aurananda, che mi sembra degna di attenzione. L’autore, che dev’essere un giovane indiano di grande cultura, sostiene che i popoli occidentali, europei ed americani, dopo essere stati per molti secoli i proprietari della più alta intelligenza creatrice e giudicatrice danno ora l’impressione di un rimbecillimento totale e quasi pauroso, che sta diventando ogni anno più visibile e più grave. Dopo aver notato, con acutezza spregiudicata, i sintomi e le prove di questo generale decadimento, Aurananda enumera le cause principali dell’inaspettato fenomeno. Secondo lui sono queste:

1. La stampa settimanale illustrata, che si occupa quasi soltanto di scandali mondani, di delitti e di stranezze, con eccessiva prevalenza delle immagini fotografiche sulle idee e sulle discussioni critiche.
2. Il cinematografo, che abbrutisce sistematicamente la grande massa dei ceti medi e proletari con spettacoli di bestialità feroce, di sentimentalismo idiota, di falso lusso e in generale di vita imbecille, artificiosa e pretenziosa. Anche il cinema aiuta la pericolosa sostituzione del vedere al pensare.
3. Lo sport, nel quale è purtroppo evidente la sopravvalutazione dei valori puramente fisici e muscolari sui valori morali e intellettuali.
4. La sempre maggior diffusione, in tutte le classi della società, degli stupefacenti (oppio, morfina, cocaina, eroina) che finiscono con l’ottundere ed offuscare le facoltà superiori dell’anima e col preparare generazioni di maniaci, di rammolliti e di nevrotici.
5. L’abuso, pure crescente, specialmente tra i ragazzi e i giovani, delle bevande eccitanti e alcoliche.
6. La voga universale delle danze e delle musiche di origine primitiva e selvaggia, che rintontisce i cervelli, sfibra la volontà e crea un parossismo afrodisiaco debilitante. Anche il ballo favorisce lo stimolo muscolare e sessuale a tutto scapito della attività mentali superiori.
7. La radio, che trasmette soprattutto musica, e di solito cattiva musica, avvezzando i più ad una sogneria estenuante e morbosa, allontanando dallo studio, dalla mediatazione, dall’esercizio del pensiero operante.

8. L’esagerata parte che hanno oggi, nella vita occidentale, i ragazzi, le donne e i lavoratori manuali ( i tre padroni dell’epoca) cioè quelle porzioni di umanità che sono meno capaci di un profondo e continuato lavoro di riflessione.

Aurananda si stupisce che i governanti dell’Europa e dell’America non si diano alcun pensiero di questo progressivo rimbecillimento dei loro popoli e non si curino, in nessun modo, di arginarlo o di ritardarlo. L’esperienza fatta da me in questi ultimi anni nei viaggi attraverso questi popoli conferma pienamente le conclusioni della corrispondenza che ho letto nel numero 76 della rivista Maya. Ma chi legge, a Parigi o a New York, questa piccola rivista di giovani indiani?


da “Il libro nero”, cap. 22

Non si può negare la grande lucidità dell'analisi dello studioso indiano e di Papini. Qui abbiamo tutte le malattie contemporanee perfettamente dipinte: chiacchiere da bar su eventi mondani di nessuna rilevanza, prevalenza dell'immagine che annichilisce il pensiero attraverso il cinematografo e la fotografia, diffusione di pessima musica, uso e abuso di stupefacenti e alcool. Notevole anche l'aver citato i governanti dei nostri paesi, perchè è questo davvero che oggi sconvolge: passano ore, mesi, anni, questi governanti, a discutere sulla legge più stupida e insignificante, ma che il mondo sia in preda al rimbecillimento non sembra essere affar loro. Ora magari qualcuno si vorrà soffermare sul punto 8, mettendone in evidenza l'antifemminismo, ma non dimentichiamo che il brano è tratto da una rivista indiana degli anni Cinquanta, in condizioni spazio-temporali ben diverse dalle nostre. E' per questo notevolissima la previsione di ciò che saremmo diventati dopo 50 anni e che evidentemente, ad un occhio attento, già mostravano di essere nel 1951. E Papini, guarda caso, tutto questo lo aveva intuito. Come lo aveva intuito quel giovane studioso indiano.

Solo noi continuiamo ad ignorare questo rimbecillimento.

E continuiamo ad ignorare Papini, ovviamente.

Antonio Saccoccio

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martedì, maggio 08, 2007

T. W. Adorno e la nuova musica

Theodor Adorno è stato uno dei maggiori esponente della Scuola di Francoforte.
Filosofo, sociologo, pianista, compositore e musicologo. Uno degli uomini più acuti dell'intero Novecento.
Notevoli le sue riflessioni sulla società borghese, sulla disumanizzazione dei rapporti personali, sull'industria culturale, sugli elementi negativi introdotti dal positivismo.
Ma qui vogliamo ricordare l'importanza fondamentale dei suoi scritti sulla musica, da Filosofia della nuova musica a L'invecchiamento della nuova musica.
Enrico Fubini ne "L'estetica musicale dal Settecento ad oggi" ha dedicato un intero paragrafo alla figura di Adorno. Molto incisive le pagine in cui descrive il rapporto tra l'arte e la società del suo tempo, seguite dal celebre giudizio sulla musica di Strawinsky e di Schoenberg, i due grandi compositori della prima metà del secolo. Ecco le considerazioni di Fubini, che riporta anche citazioni letterali dello stesso Adorno.
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In questo contesto filosofico s’inserisce l’analisi che Adorno fa della musica contemporanea. Nella società di oggi, in cui anche l’attività intellettuale rischia di essere completamente dominata e sommersa dai rapporti economico-sociali, in cui l’individuo è alienato perché la società industriale e capitalistica ha soffocato l’autonomia e la libera creatività, producendo una standardizzazione sempre crescente che ha coinvolto la stessa arte degradandola a prodotto commerciale, soggetto alle leggi del mercato, in una società siffatta, anche la musica rischia di diventare merce, di essere dissacrata, di perdere il suo caratterer di verità per ridursi a puro gioco.
Adorno, nella sua nostalgia di un passato irrecuperabile, di un ideale di uomo integrato nella società in cui la musica assolveva ad una funzione espressiva ed equilibratrice e non si era ancora trasformata in prodotto per la massa, immagine dell’alienazione umana e della pietrificazione dei rapporti, concepisce solo due strade possibili per la musica, che vede simbolicamente impersonate in Schonberg e in Strawinsky, i due poli diametralmente opposti nel mondo musicale contemporaneo. La musica di Strawinsky rappresenta l’accettazione del fatto compiuto, della situazione presente; rappresenta la pietrificazione dei rapporti umani, “il sacrificio antiumanistico del soggetto alla collettività, sacrificio senza tragicità, immolato non all’immagine nascente dell’uomo, ma alla cieca convalida di una condizione che la vittima stessa riconosce, sia con l’autoderisione che con l’autoestinzione”. La musica di Strawinsky con il suo artificioso recupero del passato, oggettivandolo, cristallizzandolo, ponendolo fuori della storia rappresenta la via dell’inautenticità, la tragica dissociazione del mondo moderno; essa rispecchia infine fedelmente e genialmente, ma passivamente, l’angoscia e la disumanizzazione della società contemporanea.
Anche Schonberg è un uomo del nostro tempo, ma in un senso totalmente diverso: se Strawinsky rappresenta l’accettazione, Schonberg rappresenta la rivolta, la protesta, la rivoluzione radicale, senza compromessi. Ma cosa può significare la rivolta in un mondo siffatto? Essa non può essere che il rifiuto nella totale solitudine, risponde Adorno. Se l’angoscia è implicita nella musica di Strawinsky per il suo carattere di supina acquiescenza a questo mondo, nella musica di Schonberg è dunque l’unica via dell’autenticità per la musica. Nella costruzione dodecafonica volutamente il compositore si costringe entro i limiti di una costruzione immanente, negandosi quella libertà che ormai non può più avere. Ma nello stesso tempo, nella rivolta alla tonalità, al linguaggio tradizionale, salva la soggettività, salva la musica dal cadere al rango di prodotto di massa standardizzato.
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Certo, sul giudizio su Stravinsky e Schoenberg si potrebbe discutere per ore. Da un punto di vista filosofico posso anche essere d'accordo con Adorno, ma da quello dei risultati artistici avrei più di una perplessità. Ad ogni modo non è questo il problema che mi sta a cuore.
Interessantissime invece sono le categorie estetiche utilizzate da Adorno: la passività è vista come una qualità negativa; la ribellione, invece, è sintomo di vitalità e di autenticità.
Non posso che condividere, infine, la critica all'arte degradata a "prodotto commerciale" e ridotta a "puro gioco".
Temi neofuturisti.
Antonio S.

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martedì, maggio 01, 2007

"Ogni verso che scrivo è un incendio" (A. Palazzeschi)

Pubblico uno degli incipit più affascinanti della lirica novecentesca. Si tratta de L'Incediario, poesia da cui trae il nome l'omonima raccolta di versi di Aldo Palazzeschi. La lirica è dedicata a F.T. Marinetti anima della nostra fiamma. L'incipit ha un qualcosa di epico. La figura dell'incendiario sembra essere a metà tra quella del valoroso combattente imprigionato e quella del matto da rinchiudere. La sua persona risalta comunque tra il grigiore indistinto dalla massa che lo guarda incuriosita.

In mezzo alla piazza centrale
del paese,
è stata posta la gabbia di ferro
con l'incendiario.
Vi rimarrà tre giorni
perché tutti lo possano vedere.
Tutti si aggirano torno torno
all'enorme gabbione,
durante tutto il giorno,
centinaia di persone.
...

La lirica procede, tra tensioni e distensioni, fino ad una strofa a mio avviso fondamentale in cui sono contenute quelle riflessioni sul poeta tanto care a Palazzeschi.

E voi, rimasti pietrificati dall'orrore,
pregate, pregate a bassa voce,
orazioni segrete.
Anch'io sai, sono un incendiario,
un povero incendiario che non può bruciare,
e sono come te in prigione.
Sono un poeta che ti rende omaggio,
da povero incendiario mancato,
incendiario da poesia.
Ogni verso che scrivo è un incendio.
Oh! Tu vedessi quando scrivo!
Mi par di vederle le fiamme,
e sento le vampe, bollenti
carezze al mio viso.
Incendio non vero
è quello ch'io scrivo,
non vero seppure è per dolo.
Àn tutte le cose la polizia,
anche la poesia.

Di sicuro il poeta è in questo caso un incendiario mancato. Ma noi vogliamo prendere da Palazzeschi le parole che ci sembrano più utili e vicine al nostro spirito neofuturista.
Ogni verso che scrivo è un incendio.
E' questo l'autentico spirito dell'incendiario futurista.
E' questo l'autentico spirito dell'incendiario neofuturista.
Antonio S.

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