LIBERI DALLA FORMA

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mercoledì, marzo 12, 2014

Manifesto per l'Antiscuola della Vita: 5 punti per rivoluzionare le scuole

Che la scuola sia un'istituzione in cui regna unicamente la morte è ormai negato solo da chi possiede un'intelligenza in avanzato stato di decomposizione. Non c'è quindi più spazio per mediazioni, riformucce e struggenti compromessi per salvare il salvabile. Non c'è più nulla da salvare dove le muffe e le polveri soffocano quotidianamente passioni, istinti, vigore, coraggio.
Per porre fine all'agonia delle menti e dei corpi di bambini, adolescenti e giovani dai 5 ai 30 anni propongo l'applicazione integrale dei seguenti 5 punti programmatici.
Gli spiriti più timorosi e conservatori potranno leggere questo programma come una rivoluzione all'interno dell'attuale Scuola della Morte.
Gli spiriti più audaci, eretici, avanguardisti e libertari leggeranno questo programma come primo temerario passo verso la creazione dell'Antiscuola della Vita che tutti, consciamente o inconsciamente, desideriamo.


  1. LIBERTÀ E PIACERE NELL’APPRENDIMENTO
Introdurre e sostenere come principio fondativo dell’apprendimento la libera scelta, concertata e condivisa, di ciò che si vuole imparare: l’apprendimento è reale e significativo solo in presenza di una reale domanda di conoscenza (curiosità + piacere), non può esserlo se lo stesso soggetto impone prima la domanda, poi la risposta (cosa che accade abitualmente nelle scuole tradizionali). In quest’ultimo caso non può esistere apprendimento, ma solo indottrinamento.
Conseguente revisione e ridimensionamento, in seguito abolizione dei programmi scolastici nazionali.

  1. DALLE CLASSI CHIUSE ALLA SCUOLA APERTA
a) Inserimento di ogni attività di apprendimento in contesti naturali, demolendo l’artificialità della classe otto/novecentesca. Conseguente riduzione drastica delle ore di frequenza, poiché un paio d’ore di apprendimento reale in un contesto di apprendimento vivo, reale e vitale equivalgono a una settimana di frequenza negli attuali dormitori scolastici.
b) Equilibrare lo studio libresco con quello derivante dagli altri media (supporti audio, video, internet, etc.). Conseguente riattivazione della sensoralità perduta.
c) Abolizione dei manuali unici di studio, responsabili di visioni non pluralistiche del mondo.

  1. RETI SOCIALI DI APPRENDIMENTO
Creazione di reti sociali per l’apprendimento, non costituite in base a differenze di sesso, età, nazionalità, ma esclusivamente in base a interessi e passioni condivise. Tali reti saranno il risultato della contaminazione tra reti sociali digitali e contesti comunitari conviviali. Le reti opereranno in un contesto scolastico e in un contesto extrascolastico in modo continuativo e naturale, abolendo l'odiosa penosa separazione tra scuola e vita.

  1. NO AL VALUTAZIONISMO
Graduale riduzione della centralità della valutazione nei processi educativi fino alla sua sparizione. Conseguente riforma e poi abolizione degli esami. Conseguente abolizione del valore legale dei titoli di studio.

  1. DAL PROFESSORE AL FACILITATORE DELL’APPRENDIMENTO
Il ruolo dell’attuale professore, unico detentore del sapere e suo diffusore, sostituito da una figura che assommi quelle di guida, facilitatore, operatore di rete nei processi di apprendimento. Chi insegnerà? Chi avrà realmente qualcosa da insegnare. (Sono quindi esclusi coloro che possiedono un'abilitazione all'esercizio della memorizzazione coatta di informazioni inutili e indesiderate).

Che la vita torni a scorrere elettrizzante e pericolosa per tutti i bambini e giovani esseri umani.

Antonio Saccoccio

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mercoledì, marzo 05, 2014

La grande bellezza e la grande truffa dell’arte contemporanea

C’è una scena de “La grande bellezza” che in pochi hanno sottolineato a sufficienza e che invece vale metà del film: la performance artistica all'acquedotto romano e la successiva intervista del giornalista Jep Gambardella (Tony Servillo) alla body-artista Talia Concept (interpretata da Anita Kravos).
Si tratta di una scena che mette in ridicolo le performance artistiche contemporanee, ma soprattutto l’ignoranza e la vacuità che si nascondono dietro quelli che si fan chiamare oggi “artisti”. Una scena che rivela una conoscenza piena del mondo dell’arte contemporanea e dei suoi grotteschi rituali.
La performance contiene tutti i luoghi comuni delle performance artistiche: la presenza di corpi nudi (che siano preferibilmente “bei corpi”); la preparazione di un set, possibilmente contaminando l’antico (l’acquedotto romano sull'Appia antica) con il contemporaneo (il palco di legno con tanto di segnaletica stradale); i riferimenti politici, meglio se internazionali (la falce e martello disegnata all’inguine) e comunque sempre decorativi e innocui; la presenza di sangue; il silenzio rituale di contemplazione-attesa rotto dall’urlo improvviso; la parola striminzita che deve risultare ambigua e allusiva a chissà quale dramma (il grido finale “Io non vi amo!”).
E poi c’è il pubblico, sul prato, ormai composto indistintamente da signori e signore dell’alta borghesia annoiata e dall’altrettanto annoiata gioventù pseudo-alternativa. La gente distesa sul prato che osserva attenta e concentrata la performance, e altrettanto diligentemente applaude, è un ritratto del vuoto esistenziale interclassista contemporaneo. La grande idiozia dell’arte contemporanea coinvolge ricchi e poveri, senza più alcuna distinzione, tutti uniti nel presentismo modaiolo, tutti alla disperata ricerca di qualcosa che li faccia sentire “diversi”, capaci di intendere qualcosa che gli altri non capiscono. Tutti privi delle facoltà, culturali, intellettuali ma soprattutto umane, utili a decifrare la palese truffa che si cela dietro la parola “arte”.


La successiva intervista completa il quadro dell’Artista alla perfezione. Il dialogo tra i due è una vera tortura per la ragazza. La quale, per trarsi d’impaccio, prova subito a buttarla in confusione parlando di una misteriosa “vibrazione”, di natura extra-sensoriale. Quindi, non sapendo spiegare cosa sia quella vibrazione, se ne esce fuori con uno dei cavalli di battaglia di ogni sedicente “artista”: «Io sono un’artista, non ho bisogno di spiegare un cazzo». Gli artisti non devono spiegare ciò che fanno, sono artisti e basta. Ma Talia non demorde perché vuole quell’intervista su quel giornale che ha così tanti lettori: tenta ancora di definire la vibrazione come “radar per intercettare il mondo” e tira persino in ballo il suo fidanzato, un artista concettuale che “rielabora palloni da basket con i coriandoli, un’idea sensazionale”. Ma Jep si spazientisce e definisce le parole della performer “fuffa impubblicabile”. L’intera scena si conclude abilmente con la risata della direttrice nana del giornale, risata che copre definitivamente di ridicolo l’artista e il mondo dell’arte che rappresenta.
Anche per l‘intervista la descrizione dell’artista è perfetta: il desiderio evidente e continuo di autopromozione; la consapevolezza di dover truffare il pubblico e quindi l’abitudine a parlare il meno possibile o il più possibile con termini vaghi e privi di senso; l’idea che i giornalisti siano complici della truffa, o perché anche loro ignoranti o perché a loro non sta davvero a cuore ciò che pubblicano. Talia Concept è sfortunata, perché Gambardella non è il solito giornalista cretino e sprovveduto, ma uno che ha piena consapevolezza del ridicolo che c’è dietro quelle performance e dietro il mondo dell’arte contemporanea. Talia Concept è solo una Marina Abramovic di provincia, più rozza e incolta e quindi assai meno pericolosa.
“La grande bellezza” ci offre quindi un prezioso affresco di chi è l’artista oggi, di cosa è l’arte oggi, di chi sono coloro che costituiscono il pubblico dell’arte oggi. Si salva solo Gambardella, unico a capire in un mondo di imbecilli. Ma, aggiungiamo noi, la consapevolezza di Gambardella è oggi estesa a larga parte della popolazione. Certo, lui possiede la superiore consapevolezza di chi quel mondo lo conosce bene, da vicino, e ne sa smascherare il ridicolo. Ma, accanto a quelli come lui, cresce ogni giorno la consapevolezza (magari non da addetti ai lavori, ma non meno importante) di chi proprio non ce la fa a lasciarsi prendere per il culo da simili sceneggiate.
Si è detto che gli americani hanno fatto vincere “La grande bellezza” perché hanno creduto che quella fosse davvero la Roma contemporanea. Ora, a parte il fatto che i premi non hanno mai stabilito il valore di nulla e nessuno, c’è da precisare che gli americani avranno pure scelto il film per motivi tutti loro, ma di certo quegli ambienti romani, ambigua commistione tra snobismo, alternativismo e volgarità, tra presentismo pariolino e presentismo pignetino, sono perfettamente descritti, con quel po’ di enfasi e parodia che basta per non restituire un realismo didascalico. Come nella scena della performance di Talia Concept. Come in queste battute tra signore ben vestite, che lascio a mo’ di epigrafe a memoria della coglionaggine esibita di tanti radical chic romani e non.

-  Hai cambiato colore dei capelli?
-  Sì, in questo periodo mi sento… pirandelliana. Bello questo jazz, vero?
-  Mica tanto. Secondo me oggi l’unica scena jazz interessante è quella etiope.


Antonio Saccoccio

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